Insert Coin è nata (anche) per conoscere più da vicino chi nei videogiochi ci lavora ogni giorno. Per questo ho intervistato con piacere chi scrive articoli, chi fa critica videoludica e chi lavora nelle associazioni.
Con Arianna Fusetti, lighting artist di Frontier Developments, ho voluto entrare nel mondo di chi i videogiochi contribuisce a crearli per comprendere i meccanismi e i perché di ciò che fa ogni giorno.
Se vuoi sapere di più, puoi seguire i lavori di Arianna su ArtStation e su Instagram.
Massimiliano: Come hai iniziato a lavorare nei videogiochi?
Arianna Fusetti: Io sono nei videogiochi da circa quattro anni. Ne ho fatti tre in Milestone, che è stata la prima azienda fatta e finita in cui sono entrata come dipendente. L’anno prima l’ho fatto come freelance studentesco. Ho collaborato con un paio di studi indie facendo modelli 3D e character.
Una volta finito il liceo mi sono trasferita a Milano per entrare in una delle scuole 3D che al tempo stavano sorgendo. Ne ho scelta una che non dava una formazione specifica sui videogiochi, ma una generale sulla grafica 2D e 3D. Era più incentrata sulla motion graphic.
Dalla fine del primo anno ho cercato di trovare più lavori freelance che potevo nei campi che mi permettessero di lavorare per capire dove orientarmi: ho lavorato con la motion graphic per la TV e i video musicali. Poi ho trovato una collaborazione con uno studio indie, ho lavorato sul mio portfolio e poi sono andata in Milestone. Ora lavoro per una società britannica.
Cosa ti ha spinto a cambiare azienda? Hai trovato un ambiente diverso passando da un’azienda italiana di videogiochi a una britannica?
Ho cambiato per motivi personali: in Italia ci sono poche aziende che fanno videogiochi molto alti e che non siano racing, un genere che a me non interessa. Allo stesso tempo, non mi interessava lavorare in uno studio indie.
Una cosa che ho notato nella mia piccola esperienza è che l’azienda italiana, anche se forte sui videogiochi, è ancora un po’ indietro. In Inghilterra ci sono tantissimi studi e anche le organizzazioni di riflesso – dai bonus agli stipendi e la gerarchia – sono molto più evolute. Ciò che sto vedendo in Inghilterra è che ci sono vari gruppi con altrettanti lead. Se stai lavorando a una mappa, io ero abituata ad andare da una sola persona che curava tutti gli aspetti. Ora ci sono tante figure di riferimento diverse per ogni aspetto della mappa: chi cura solo gli alberi, chi il terreno e via così.
Perché ti sei specializzata nell’illuminazione? Per esigenza professionale, un particolare talento…?
Inizialmente ho fatto VFX, con cui ci si riferisce agli effetti speciali e anche all’illuminazione perché devi saper fare entrambi. Io ho iniziato come VFX artist in Milestone.
Avendo trovato più lavori come VFX Artist, mi sono specializzata in questo campo. Facendolo poi ho notato che mi piaceva di più e mi riusciva meglio del resto; quindi ho deciso di continuare così. È una cosa soddisfacente. A seconda del tuo ruolo puoi vedere solo una parte della scena; invece quando arriva a me, magari non è ancora finita, ma poiché io lavoro anche nel post-produzione, vedo il prodotto finito, che magari è bellissimo, e ho l’idea di star mettendo quel pezzo in più per renderlo ancora più bello.
Nel dettaglio, cosa fai come lighting artist? Cosa prevede il tuo ruolo all’interno del processo di sviluppo di un videogioco?
È una posizione jolly. A seconda dell’azienda ti fanno fare tutto o niente. In Milestone mi occupavo degli effetti speciali del gioco: il terreno sollevato dalle ruote della moto, il fumo, le fiamme. Devo decidere il posizionamento di tutte le luci, dove metterle e come; decidere dove stanno le nuvole o dipingere il cielo: dipende dal gioco.
E su questi compiti hai una certa libertà creativa o lavori sulla base della linea di qualcun altro?
Dipende da quanta libertà ti viene lasciata. Nei giochi su licenza ti lasciano meno libertà e devi stare più attento. Negli altri giochi, lo lasciano fare a te anche se devi coordinarti con i colleghi.
Come lighting artist a che punto dello sviluppo subentri e, nella tua quotidianità, con quali reparti ti interfacci?
La mia parte c’è fin da subito. Già dalla pre-produzione c’è un momento in cui bisogna decidere come fare il gioco e cosa si vuole ottenere. I test tecnici sono le prime cose che vengono fatte per sapere se il sistema può funzionare e se dà un buon risultato. Man mano che le mappe cominciano a essere pronte si comincia a fare il nostro lavoro e si modifica con le nuove aggiunte.
Se all’inizio si fa lo studio tecnico, alla fine si fa lo studio artistico in cui si prende il fotogramma, si analizza e si capisce cosa va ritoccato in post-processing e cosa con l’illuminazione.
Per quel che riguarda il lavoro con gli altri reparti, interagisci all’interno del macro-reparto della grafica o anche con altri, che lavorano magari sull’Intelligenza Artificiale o sul level design?
Ci interfacciamo con tutti gli altri reparti grafici e anche tanto con la programmazione e con la ricerca e sviluppo. Il sistema di illuminazione non è solo artistico, ma ha una grande componente tecnica. C’è bisogno di fare sistemi che funzionino e spesso devi farli tu, magari con degli esperti di rendering.
C’è differenza nel gestire l’illuminazione fra le esperienze a giocatore singolo e quelle multigiocatore?
Per i giochi a cui ho lavorato io no, ma io ho lavorato soprattutto sui giochi di corse. Nei giochi single player in genere c’è una storia e hai degli ambienti che devono aiutarti a proseguire nella narrazione: l’illuminazione è molto importante in questo. In quelli multigiocatore questo non serve. Nella mia esperienza però le mappe erano uguali tra single player e multiplayer.
Per chi volesse approcciare al tuo ruolo che consigli daresti? Ho visto che continui a fare molti lavori autonomi.
Le aziende, soprattutto quelle grosse, devono per forza insegnarti qualcosa che si fa solo lì perché ogni azienda si gestisce come vuole. Perciò devi dimostrare di essere una persona in grado di imparare, di avere un carattere giusto, perché è un lavoro di squadra, e di essere entusiasta del tuo lavoro. Sono cose che effettivamente guardano e spesso a parità di lavoro e di curriculum scelgono le persone entusiaste.
A livello di lavori, è meglio concentrarsi sulla qualità rispetto alla quantità. Inoltre, devi poter aiutare l’azienda a crescere: non devi presentarti solo con i lavori che hai fatto per altre aziende. Il livello dei lavori personali dev’essere al pari di quelli aziendali: serve a vedere se ti piace fare il tuo lavoro anche quando non stai lavorando.
Poi, alle aziende interessa che il lavoro che hai fatto sia partito da te; che i lavori tuoi singoli siano allo stesso livello, o poco meno, di quelli corali. Se finisco in un gioco bellissimo e lo faccio vedere, ma i miei lavori personali sono orribili, un’azienda può pensare che io mi stia prendendo i crediti di qualcun altro. Mi è capitato che mi facessero i complimenti per i lavori professionali, ma che mi dicessero di no perché non potevano sapere se li avessi fatti io.
Quando si è agli inizi, c’è tanta gente che vuole sfruttare gli studenti al gioco del ribasso. Alcune scuole per garantire il job placement mandando in blocco i curriculum degli studenti; quindi l’azienda ne sceglie cinque, li contatta e poi sceglie quello che prende meno. Per quanto capisca che quando hai bisogno di lavorare e farti un portfolio non hai molta scelta, sarebbe il caso di non farsi sfruttare.
Un altro consiglio è di seguire altre persone che fanno grafica 3D. Tante cose le impari da solo, perciò cercare un artista che ci è già passato e possa dare consigli aiuta molto. Esistono canali Discord o Twitch. Io consiglio UfficioSinistri su Twitch, che è un ex character artist che modella online, e Muso95, ancora su Twitch, che invece è un game designer professionista che spesso valuta il lavoro altrui. C’è anche Visual Tech Art su YouTube.
Poi su Twitch puoi vedere le persone mentre lavorano e capire come lo fanno.
Sì, è un vantaggio. Anche su Instagram ce ne sono molti da seguire.
Sembra un mercato saturo, ma da quanto ho visto non c’è molta gente. In alcuni colloqui mi hanno detto che non si presentava un’altra persona per un ruolo negli effetti speciali da sei mesi.