Ancora non abbiamo capito cos’è un videogioco

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Si parla spesso di “nicchia”, nel mondo dei videogiochi, quando si vuole indicare un prodotto per “pochi”.

Per il dizionario Treccani, una nicchia di mercato è un “segmento del mercato di un bene o di un servizio rappresentato da un gruppo fortemente caratterizzato di consumatori, cui si rivolge un numero limitato di produttori”.

Questa definizione è curiosa, se applicata all’economia del videogioco, perché ribalta la questione: non sono i consumatori, a essere pochi; bensì i produttori. Il pubblico, invece, è “fortemente caratterizzato”.

Se ne è parlato di nuovo discutendo di Hellblade II, uscito da pochi giorni. I cui tratti – un po’ walking simulator, un po’ avventura; molto lineare e fortemente narrativo – vengono associati a un insieme più ridotto di persone. Si è detto che Hellblade II è un prodotto di “nicchia” per contestualizzare la sua portata: come a dire che alla fine si è puntato di più su questo videogioco rispetto a quante persone effettivamente potrebbe raggiungere.

Nel caso canonico – cioè nel modo in cui comunemente parliamo di videogiochi di nicchia – faccio notare che il primo Hellblade ha superato, nel giro di un anno, il milione di copie vendute. Non sono mai stati forniti dati più aggiornati, ma è presumibile che quella cifra sia stata abbondantemente superata. Con la sua inclusione nel catalogo di Game Pass, Hellblade II potrebbe arrivare almeno allo stesso numero di persone.

Nonostante il forte allargamento del mercato nel corso degli anni – il milione di copie oggi è certamente meno di impatto rispetto a un milione di copie trent’anni fa – un milione di persone restano un milione di persone.

Al di là, poi, dei discorsi rispetto a quanti utenti poi effettivamente finiscano i videogiochi o no; sono numeri molto importanti.

Perché se il riferimento, oggi, sono Fortnite o Roblox, che ogni giorno radunano dozzine di milioni di persone, allora qualunque videogioco a confronto è una nicchia. Pure videogiochi di grande successo commerciale come Red Dead Redemption 2 impallidiscono di fronte alla mole umana che ogni giorno transita su quei server.

La portata dell’industria dei videogiochi è tale che sembra aver anestetizzato una certa percezione realistica della quantità. Parlando quotidianamente di “miliardi” di dollari di ricavi e di “milioni” di persone raggiunte, ho l’impressione che la materialità di queste cifre si sia un po’ persa. Al punto che uno o due milioni di persone sono una “nicchia”.

Perciò mi chiedo: qual è la cifra che stabiliamo affinché un titolo non sia più una nicchia? In un mercato da centinaia di miliardi di dollari annuali, qual è la soglia di sbarramento? Mi viene da pensare che nemmeno cinque milioni di copie bastino.

Il rischio è di fare lo stesso ragionamento delle grandi società che, in questi mesi e questi anni, hanno guardato ai loro grandi successi: qualunque produzione che non si avvicinasse, al di là di quanto bene avesse fatto sul mercato, non era più sufficiente. Una tagliola che, di recente, ha colpito Tango Gameworks: perché Hi-Fi Rush non è The Elder Scrolls o Fallout. È “di nicchia”.

Un secondo rischio, secondo me, è che questa considerazione venga proposta non da un punto di vista numerico, bensì qualitativo: se un videogioco è di nicchia, allora è per pochi e allora non può essere influente o significativo.

Nonostante l’industria, a guardare indietro, sia stata segnata – dal punto di vista creativo, soprattutto – anche da videogiochi che oggi definiremmo di nicchia; ma che proprio in funzione della loro volontà di essere qualcosa di inedito, di anomalo persino, hanno lasciato un’impronta molto forte.

Massimiliano


Considerare che cos’è un videogioco può apparire come una domanda banale. Come una di quelle considerazioni che, alla fine, hanno poca concretezza: dovrebbe essere chiaro cos’è un videogioco. Lo si vede, lo si interpreta, persino.

Eppure, quando si entra nel merito delle sue caratteristiche; oppure debutta un titolo dalle connotazioni un po’ fuori dai binari più comuni, ecco che torna la discussione. Che però, ogni volta, emerge con fare quasi meschino; come a indicare una linea da non superare, prima di essere etichettati come “film interattivo” o come qualunque altra cosa che videogioco non è.

Ma allora, cosa dovrebbe identificare un videogioco? E soprattutto: perché ci importa di identificare qualcosa come videogioco?