Si torna a parlare ciclicamente di preservazione del videogioco. Lo si fa, specialmente, alla luce di appelli da parte delle organizzazioni che se ne occupano e il cui obiettivo è appunto quello di raccogliere i videogiochi e garantire che restino accessibili da una vasta platea di persone.
L’argomento è ritornato in auge proprio per questo motivo. La Video Game History Foundation, organizzazione non a scopo di lucro che si occupa di “preservare, celebrare e insegnare la storia dei videogiochi”, ha rivelato i risultati di uno studio che ha commissionato per valutare fino a che punto la situazione sia problematica.
Il risultato è molto sconfortante: l’87% dei videogiochi distribuiti negli Stati Uniti rischia di essere perso per sempre. Il 13% che invece rimane è una media: nel periodo che finisce nel 1985 (e quindi copre le prime console, come Magnavox Odyssey, Atari VCS/2600, Mattel Intellivision e Colecovision) si scende fino al 3%.
Significa che dei videogiochi di quel periodo ci stiamo perdendo quasi tutto: ed è una perdita enorme.
Ma il punto sollevato dalla Video Game History Foundation è più profondo e scava fino ad arrivare al cuore del problema: anche per quei videogiochi che vengono effettivamente preservati l’accesso diventa problematico, perché spesso è solo in loco (per esempio all’interno di un’area di una biblioteca) o non online, perché le varie società che detengono i diritti si oppongono a una simile soluzione.
“Provate a immaginare che l’unico modo per guardare Titanic fosse trovare una cassetta VHS usata e manutenere i vostri dispositivi vintage in modo che possiate guardarla”, ha evidenziato l’organizzazione. “E che nessuna biblioteca, nemmeno quella del Congresso, potesse fare di meglio – possono archiviare e digitalizzare la VHS di Titanic, ma dovete farvi tutta la strada per guardarla. Può sembrare assurdo, ma questa è la realtà in cui viviamo con i videogiochi, un’industria da 180 miliardi di dollari, mentre i giochi e la loro storia scompaiono”.
Non riuscire a preservare i videogiochi è grave perché, tanto quanto film o libri o canzoni, sono parte della storia e della cultura di un tempo: esempi come Custer’s Revenge o persino l’indefinibile progetto italiano di Gioventù Ribelle sono pezzi di storia. Di un Paese, di un movimento, di un modo di vivere, di uno spaccato della società: sono fotografie digitali interattive.
La cosa più triste è che non solo non stiamo attivamente facendo abbastanza, come settore, per riparare ai danni già fatti e a evitarne di ulteriori; ma il tempo corre velocemente, ogni anno escono sempre più videogiochi e quelli venduti solo in digitale se ne vanno con la chiusura dei negozi delle console meno recenti (com’è capitato con Wii U e Nintendo 3DS).
E citando Pif, noi come stronzi rimanemmo a guardare.
Massimiliano
C’è stato molto movimento all’operazione Microsoft-Activision Blizzard King. Sono anche giorni veloci e ulteriori evoluzioni potrebbero concretizzarsi entro il 18 luglio, data simbolica per la chiusura dell’accordo, in quanto quella concordata dalle due società.
Perciò, troverai le ultime novità nella parte delle notizie in breve; ma ho preferito non approfondire perché, appunto, tutto potrebbe cambiare nei prossimi giorni. Ne riparlerò sicuramente.
E ora all’approfondimento di questa settimana.
Un resoconto del quotidiano finanziario giapponese Nikkei ha raccontato che Sony ha aumentato il budget riservato alla ricerca e lo sviluppo dei videogiochi, con un’enfasi sui “live service”.
La strategia di Sony Interactive Entertainment, la branca del gruppo che gestisce PlayStation, è chiara da tempo: avere 12 live service operativi entro marzo 2026 e aumentare la loro portata avanzando in un segmento commerciale che oggi Sony presidia solo con MLB The Show 23, videogioco di baseball su licenza della lega nordamericana, e Destiny (perché ha comprato Bungie a gennaio 2022).
La cifra citata da Nikkei è 300 miliardi di yen, vale a dire circa 2,13 miliardi di dollari nonché il 40% di tutto il budget che Sony come gruppo ha destinato alle attività di ricerca e sviluppo per l’anno fiscale in corso.
Ma diamo un po’ di contesto a questa cifra: è davvero così alta? Sì, ma ci sono alcune annotazioni a margine.
Intanto, è parte di una strategia che è iniziata prima: fino all’anno fiscale 2021, che si è chiuso il 31 marzo 2022, la principale area di investimento per la ricerca e sviluppo in Sony era la divisione per i sensori per le fotocamere degli smartphone (Imaging & Sensing Solutions).