Una delle notizie più commentate della settimana è stata la definitiva chiusura dell’E3, evento che per tanti anni è stato il centro della comunicazione sui videogiochi. Lo è stato fino al 2019, almeno, anche se negli ultimi anni con sempre meno rilevanza, a causa dell’assenza di Sony e del fatto che Nintendo era ormai legata al suo evento preregistrato: quel Nintendo Direct che alla fine ha fatto scuola.
La chiusura definitiva dell’E3 è stata giudicata come “la fine un’era”. Una fine non è certo iniziata l’altro ieri, quando l’Entertainment Software Association ne ha dato comunicazione, né ha colto davvero qualcuno all’improvviso; ma ci dice anche qualcos’altro su come si trova il settore o perlomeno di cosa è diventato.
Perché se a metà degli anni 2000 c’erano quattro eventi a scandire il settore – Game Developers Conference a marzo; E3 a giugno; Gamescom ad agosto; e Tokyo Game Show a settembre – oggi ce ne sono tantissimi altri.
Se a metà degli anni 2000 l’industria era molto più centralizzata – e quindi più facile da comunicare attraverso pochi ma grandi eventi – oggi non lo è più.
Nel frattempo sono successe cose come Steam, che ha ampliato enormemente la quantità di videogiochi disponibili su PC; i videogiochi indipendenti sono nati e si sono evoluti così tanto che oggi fatichiamo a capire che cosa sia un videogioco indipendente; e i videogiochi indipendenti di ieri oggi sono praticamente produzioni a medio budget, che fanno la fortuna di nuovi editori, come Devolver Digital, che si sono trovati spazi che un tempo forse neanche c’erano.
Sono nati generi su generi, dai soulslike figli di Demon’s Souls fino ai battle royale guidati da Fortnite; c’è stata la grande diffusione del videogioco su mobile con gli smartphone, galvanizzata dall’App Store di iOS.
Oggi l’industria stessa è cento volte più stratificata, più complicata, più variegata e frammentata che mai.
La graduale sparizione della centralità dell’E3 è andata di pari passo con un altrettanto graduale decentralizzazione del videogioco e una maggiore complessità nel seguirlo, nel raccontarlo; persino nel ricondurlo ad alcuni fili comuni.
Se anni fa c’era principalmente l’industria cosiddetta mainstream, oggi di industrie ce ne sono molteplici: i videogiochi mobile, i videogiochi live service, quelli indipendenti, quelli ancora più indipendenti e le mille sottocategorie per PC, come i simulatori di qualunque cosa; i servizi su abbonamento, lo streaming.
La fine dell’E3 è la fine di un’era perché segna, in modo definitivo e molto pratico, una trasformazione del settore; che oggi è molto più difficile da seguire, molto meno ordinato e molto più frammentato: nei tanti eventi in streaming, nei siti degli editori mantenuti come se fossero dei neutrali portali di informazione; nell’era di Rockstar Games che non ha bisogno di nessuno e gestisce la comunicazione a mezzo Instagram.
L’addio all’E3 è arrivato dopo anni in cui, in realtà, l’E3 non si è tenuto, sostituito da altri eventi minori, come la Summer Game Fest. Per cui in realtà sappiamo benissimo come faremo senza E3: è esattamente come abbiamo fatto negli ultimi quattro anni. Nel bene e nel male.