I licenziamenti in Digital Bros

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Il 7 dicembre si terrà l’annuale serata dei The Game Awards, evento di intrattenimento in cui vengono svelati nuovi videogiochi o mostrati, fra una pubblicità e l’altra, nuovi contenuti legati ai videogiochi che già conosciamo. E intanto vengono anche assegnati premi ai migliori videogiochi dell’anno in varie categorie.

Da anni i The Game Awards stanno diventando uno dei momenti più attesi dell’anno videoludico. Da una parte perché il fondatore, Geoff Keighley, è ormai così intrecciato nel tessuto dell’industria che molti annunci rilevanti vengono fatti durante i The Game Awards. (Non sarei sorpreso se il primo trailer del prossimo Grand Theft Auto verrà trasmesso proprio ai The Game Awards.)

Dall’altra perché, appunto, vengono assegnati i premi: e una parte di questa celebrazione – è meglio questo o quell’altro – nasce da una costola della console war; che, piaccia o meno, resta ancora fra noi. Infatti secondo me non è un caso che una parte considerevole del dibattito attorno alle candidature, presentate nei giorni scorsi, sia ruotata attorno all’assenza di Starfield di Bethesda fra i titoli candidati al premio di videogioco dell’anno; che invece vede candidati Super Mario Bros. Wonder, Marvel’s Spider-Man 2, Alan Wake 2, The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, Baldur’s Gate 3 e Resident Evil 4.

Ciò è accaduto, tornando al ruolo dei The Game Awards, nonostante questo evento abbia una grande quantità di incongruenze che passano sempre meno inosservate ogni anno che passa.

Per esempio, Cocoon di Geometric Interactive candidato fra i giochi al debutto, nonostante fra i membri principali di questo studio ci siano persone che hanno lavorato a giochi come Limbo e Inside.

Oppure l’inclusione di Dave the Diver fra i candidati al miglior videogioco indie: nonostante sia pubblicato da Mintrocket, una sussidiaria di Nexon, grossa società giapponese con migliaia di dipendenti.

Eppure abbiamo deciso, per convenienza, che i The Game Awards debbano essere centrali nel calendario. Ancora una volta è una scelta di marketing, come tante altre che caratterizzano questo settore.

Perché nei giorni scorsi ci sono stati i Golden Joystick Awards, che hanno premiato vari videogiochi; ma se ne è parlato molto poco.

Perchè i premi assegnati durante i The Game Awards – che ricordo dipendono per la maggior parte dall’opinione di una giuria composta da siti di informazione e non – sono più importanti, per dire, dei Joystick Awards?

L’idea che mi sono fatto io è che i The Game Awards, che sono nati nel 2014, sono stati “qualcosa” quando c’era bisogno di “qualcosa” da sbattere in faccia delle persone che screditavano i videogiochi. meglio ancora se una popolare trasmissione televisiva.

In pratica sono stati ciò che per lungo tempo è servito, da un certo punto di vista, per fare evolvere il modo in cui il settore parla di se stesso; ancora una volta prendendo dal cinema, a cui il videogioco continua a guardare con un sacco di invidia. Come a dire: guardate, ci sono “gli Oscar dei videogiochi” (e ancora oggi vengono identificati così) con personaggi della televisione e del cinema e persino le pubblicità delle bevande energetiche: è ovvio che i videogiochi sono importanti a questo punto, no?

Nel tempo, però, questo “qualcosa” ha iniziato a stonare sempre di più con l’evoluzione che l’industria vorrebbe fare (o pensare di aver già fatto) e le sue incongruenze sono sempre più palesi. E anzi credo che questo “qualcosa” non sia nemmeno più così necessario; soprattutto perché i premi sono sempre meno rilevanti e di fatto parliamo di un evento di annunci, più che di celebrazione; e quindi di un evento sempre più caratterizzato da una cultura dell’attesa, dell’hype, del “chissà che bomba di annuncio tireranno fuori quest’anno”, con pochissimo spazio lasciato alle persone che vogliono commentare il premio – a meno che non se lo prendano, diciamo.

Eppure, ogni anno, siamo sempre qui.

Allora a questo punto mi chiedo, con la massima genuinità, se invece è giusto così e i The Game Awards sono l’evento che sono, con le sue incoerenze, perché, tutto sommato, la verità è che dal 2014 a oggi questo settore mica è cambiato tanto. E se c’è un settore dove l’incoerenza è intrinseca, be’, è proprio questo qua.

Massimiliano


Digital Bros, società italiana quotata all’Euronext Star Milan, ha annunciato una riduzione del 30% del personale e che ridurrà i progetti in fase di sviluppo. La riorganizzazione è “concentrata maggiormente negli studi di sviluppo”.

La società ha comunicato la decisione in una nota agli investitori, in cui ha evidenziato che dopo la pandemia i consumatori “sono più selettivi” e, in sostanza, preferiscono giocare agli stessi videogiochi per più tempo.

“La strategia editoriale di Digital Bros si è dovuta adattare a queste nuove dinamiche competitive, focalizzandosi su nuove versioni di giochi di successo e su un numero limitato di nuove proprietà intellettuali con budget di sviluppo e comunicazione significativi”, ha aggiunto, lasciando quindi intendere che preferirà creare sequel anziché nuove proprietà intellettuali. Insomma: andare più sul sicuro.