L’abito non fa il monaco

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Palworld s’è preso gran parte della discussione videoludica degli ultimi giorni. Se il mondo videoludico fosse un bar, sarebbe la domanda che il solito cliente avrebbe fatto al di qua del bancone: “Ma hai sentito di Palworld?”

Il nuovo videogioco di Pocket Pair è un misto di tanti videogiochi che sono arrivati prima, nel suo stesso genere, come Rust e Ark: Survival Evolved, ma anche al di fuori, come Pokémon. È proprio sulle somiglianze delle sue creature, i “Pal”, con i più famosi Pokémon dell’omonimo videogioco che si sono concentrati molti discorsi, fino ad accusare lo sviluppatore di Palworld di plagio.

Non ho le competenze per dire quale sia il confine fra plagio e ispirazione. Come osservatore, posso solo far notare che ogni volta che The Pokémon Company o Nintendo hanno intercettato che ci fosse una violazione di una loro proprietà intellettuale – come se fosse una vibrazione nella Forza – hanno mosso gli avvocati senza parlare troppo (e infatti è già intervenuta contro una modifica di Palworld che inseriva proprio i Pokémon). L’annuncio di Palworld, con tanto di video, è di metà 2021: di tempo per intervenire ce n’era. Ma vedremo.

Mi interessa di più, invece, ricostruire alcuni esempi recenti in cui un nuovo videogioco è stato percepito come molto simile a qualcos’altro che già conoscevamo. A volte ciò è stato raccontato come una cosa positiva; altre volte con una declinazione a prima vista più negativa: come a dire “sta copiando questo gioco, così vince facile”.

Per esempio, Vampire Survivors. Il gioco riprende in modo esplicito l’estetica dei primi videogiochi della serie Castlevania. Prima che diventasse il grande fenomeno commerciale che conosciamo, Vampire Survivors veniva raccontato proprio sulla base di tale caratteristica estetica; ma senza che questa fosse problematica. Anzi, c’è di più. Le meccaniche di gioco di Vampire Survivors – il personaggio che attacca in automatico, le orde di nemici che aumentano sempre di più, la comparsa casuale dei potenziamenti, ecc – sono riprese esplicitamente dal videogioco mobile Magic SurvivalPer stessa ammissione di Luca Galante, che Vampire Survivors lo ha creato. Le due “ispirazioni” non hanno creato grossi problemi al gioco, anche a livello di percezione di pubblico e stampa, e anzi Vampire Survivors è diventato la bandiera del videogioco “piccino piccino che ecco, vedi, c’è speranza in questo mondo di ricche multinazionali”.

Qualcosa di molto simile è stato fatto con Lies of P: la sua vicinanza estetica a Bloodborne è stata fin da subito fonte di discussioni. L’ispirazione a Bloodborne venne confermata da Ji-won Choi, lead producer di Lies of P, sebbene abbia definito la similitudine anche “non intenzionale”. Al momento delle recensioni Lies of P venne definito “l’erede di Bloodborne” o “probabilmente la cosa più vicina a Bloodborne che avremo su PC”. Ci furono anche articoli che descrivevano le differenze fra i due videogiochi.

Tornando ai Pokémon, anche la vicinanza di Cassette Beasts a quelle meccaniche di cattura delle creature venne molto raccontata e spesso usata proprio in fase di recensione già nei titoli. Anche in questo caso, molteplici meccaniche di Cassette Beasts non c’entrano niente con Pokémon.

Ci sarebbe anche da dire che molte delle prime 151 creature di Pokémon, che è nato nel 1996, hanno evidenti vicinanze estetiche con i mostri presenti nella serie Dragon Quest, che risale al 1985, com’è stato fatto notare. Tu quoque, Pokémon?

Oppure, ancora, si potrebbe passare a qualunque videogioco a mondo aperto che negli ultimi anni ha presentato una mappa del mondo di gioco con deserti, vulcani e vaste lande erbose: tutti raccontati come “cloni di The Legend of Zelda: Breath of the Wild”. Anche se – come Genshin Impact, per dirne uno – a livello pratico poi l’esperienza di gioco era molto, molto diversa. Persino Sonic Frontiers, solo perché ci sono delle isole esplorabili, è stato messo vicino a Breath of the Wild; ma i punti di contatto finiscono negli alberi verdi sparsi qua e là, in sostanza.

Ma penso – ed è l’ultimo esempio che faccio – anche a Close to the Sun, il videogioco di Storm in a Teacup la cui estetica è sovrapponibile a quella di Bioshock; ma poi l’esperienza è molto diversa. Il primo è un’avventura in cui si cammina e si interagisce con l’ambiente; il secondo ha elementi da sparatutto in prima persona, combattimenti, armi da fuoco e “magie”. Le anteprime e le recensioni spesso sono state proprio una risposta alla domanda: “Close to the Sun è come Bioshock”?

Raccontare i nuovi videogiochi sulla base di quanto sono vicini a un altro videogioco, soprattutto se molto famoso, è una di quelle abitudini dell’informazione che si sono cristallizzate: ormai si fa in automatico. Il problema è quando questa vicinanza è perlopiù estetica e basta: il nuovo videogioco finisce per portare con sé aspettative legate a un videogioco che non è, solo sulla base di come appare dai trailer e dalle immagini.

Definire Palworld “Pokémon con le armi” è stata una verità comoda: semplice da condividere e difficile – almeno fino al lancio – da smentire. Una verità però superficiale, che oggi è complicato eliminare.

Per mesi Palworld è stato raccontato così: oggi sappiamo che ha venduto otto milioni di copie in sei giorni, forse anche per via di questa etichetta. Così mi chiedo chissà quante persone lo hanno comprato per questo motivo, aspettandosi, appunto, ciò che veniva descritto. Per poi scoprire che invece è un videogioco molto diverso.