Esistono battaglie facili e battaglie più difficili: le aziende hanno imparato bene a capire quali di queste corrispondono a una posizione comoda da tenere e quale no, in linea con i loro obiettivi commerciali.
Il problema: oggi è sempre più rumoroso non prendere posizione perché quando la spinta non arriva dall’esterno, cioè dalle persone che fruiscono dei contenuti o dei beni prodotti da un’azienda, proviene dall’interno: cioè da chi ci lavora, per quell’azienda.
La bozza di una decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, che potrebbe ribaltare una sentenza storica che ha garantito il diritto all’aborto a livello federale (Roe vs. Wade), ha portato a una vasta discussione negli Stati Uniti. Perché di base ci sono in ballo i diritti delle persone: i videogiochi c’entrano lateralmente come settore in cui molte di queste persone lavorano.
Il punto è che l’aborto è un tema molto più polarizzato e polarizzante rispetto ad altri; per questo, alcune società hanno preferito rimanere in silenzio anziché prendere una posizione.
Sony Interactive Entertainment – la stessa che ha messo una statua di Aloy a Firenze e che durante il movimento Black Lives Matter era in prima fila insieme a praticamente tutte le società internazionali, anche non del settore videoludico, con una posizione netta in favore delle persone perseguitate arrivando a pubblicare un tema gratuito per PS4 – ha chiesto ai suoi dipendenti di “rispettare le differenze di opinione” sul tema, secondo quanto scritto dall’amministratore delegato Jim Ryan in una lettera ai dipendente, il cui contenuto è stato riportato da Bloomberg.
Anche quando la Cina stava restringendo con la forza la libertà di espressione a Hong Kong le grandi aziende non hanno preso posizione. D’altronde, dare fastidio alla Cina, che non lascia correre, avrebbe significato ostacolare le attività nel mercato videoludico più grande al mondo. Si scelgono le battaglie facili, dove schierarsi da una parte porta anche il consenso della maggioranza: sono decisioni più facili da prendere perché saranno più facilmente accettate da tantissime persone.
Il discorso è più complesso su temi polarizzati come l’aborto, appunto: meglio stare zitti se il tema è commercialmente rischioso, credono le aziende.
Dall’altra parte, sono le persone che lavorano per le aziende a chiedere che, perlomeno sulle leggi che riguardano i diritti delle persone, le aziende prendano una posizione netta e chiara a tutela di quei diritti, che possono riguardare l’aborto, il diritto a votare, la comunità LGBTQ+ o le persone minorenni.
Rispetto ad altri temi, sono molte di più le aziende – comprese Microsoft e Nintendo of America – che sono rimaste in silenzio e che non hanno preso pubblicamente una posizione netta contro la possibile decisione della Corte Suprema.
Alcune di queste, fra cui ArenaNet, Bungie (prossima a diventare parte di Sony Interactive Entertainment), Creative Affinity e Double Fine (già parte degli Xbox Game Studios) hanno preso una posizione chiara: i diritti delle persone a decidere autonomamente prima di ogni cosa.
Sta diventando sempre più difficile tenere la testa sotto la sabbia in attesa che la nuova questione spinosa passi o almeno si attenui al punto da non rappresentare più un potenziale problema nella gestione aziendale.
Sebbene sia facile etichettare l’intera questione con un nuovo capitolo della saga “fuori la politica dai videogiochi”, in questo caso si tratta di aziende e persone: se viene meno un diritto di una persona che lavora per Sony o per Microsoft o per Nintendo of America, a tali aziende – che tanto parlano di inclusività – viene richiesto di prendere una posizione per difendere chi lavora per loro.
Perché un cambio legislativo può significare doversi trasferire in un altro Stato per poter godere di un diritto (se viene ribaltata la sentenza Roe vs Wade saranno i singoli Stati a decidere e molti governatori hanno già esplicitato che non garantiranno il diritto all’aborto); o non poterlo più fare del tutto, con costi economici e morali non indifferenti sulla persona.
In altre parole, significa qualcosa di molto pratico: garantire alle persone un ambiente di lavoro che offra loro garanzie e protezione e diritti. Altrimenti, vanno da un’altra parte.