La localizzazione è una componente fondamentale dei videogiochi: senza di essa, un videogioco avrebbe maggiori difficoltà a raggiungere nuovi mercati e a essere comprensibile a un numero più esteso di persone.
Eppure, il lavoro di tantissime persone che si occupano della traduzione dei testi dei videogiochi non viene accreditato; tante aziende celano i nomi dei traduttori freelance, compilano accordi di non divulgazione (NDA) che impediscono di parlare dei giochi a cui si è lavorato e, di fatto, mantengono un vasto controllo sulle carriere dei traduttori.
Per conoscere le dinamiche sottostanti al mancato accredito del lavoro dei traduttori freelance, negli ultimi mesi ho parlato con sette persone, la maggior parte delle quali ha preferito restare anonima per evitare che quanto riferitomi potesse nuocere alla sua carriera o perché le informazioni non dovevano essere pubbliche.
Ne è emerso uno scenario omogeneo, in cui le agenzie più grandi evitano di inserire i nomi delle persone che hanno lavorato alle traduzioni, impediscono a esse di parlarne pubblicamente o di inserire il nome del gioco a cui si è lavorato nel proprio curriculum vitae.
Non solo: in alcuni dei casi che mi sono stati raccontati, le paghe sono basse e viene implicitamente richiesto di lavorare nei fine settimana per poter adempiere alle scadenze stringenti – spesso imposte dai clienti finali (sviluppatori o editori) e non dalle agenzie, che pur di non perdere un cliente scaricano il peso delle condizioni lavorative sfavorevoli sull’ultimo anello della catena.
Il risultato è uno solo: i traduttori freelance che lavorano per le agenzie maggiori di localizzazione non possono fare carriera – non potendo dimostrare di aver lavorato a molti giochi, spesso ad alto budget e quindi di richiamo – e rimangono bloccati nel recinto che tali società hanno creato per controllare i traduttori ed evitare, in sostanza, che possano arrivare a fare concorrenza su alcuni progetti.
Controllo ed esercizio di potere sono le due parole chiave.
Lo slalom fra agenzie, NDA e clienti esigenti
“Non sono mai stato accreditato per i lavori che ho realizzato per le agenzie”, mi ha riferito una persona, che ha lavorato su giochi di società come Atlus, Epic Games, Resolution Games e 17-bit.
Un’altra persona con cui ho parlato dal 2017 a oggi ha lavorato su 70 giochi per conto di varie agenzie; in 65 non è presente nei riconoscimenti.
“Nel 99% dei giochi a cui ho lavorato non sono nei riconoscimenti”, ha detto una terza persona.
“Ho lavorato per circa 60 giochi. Per alcuni di questi il lavoro è stato riconosciuto, ma per la maggior parte no”, mi ha detto Marc Eybert-Guillon, traduttore e direttore di From the Void, che localizza i giochi in francese. “Conosco colleghi che sono in questo settore da oltre dieci anni e hanno tradotto centinaia di giochi, ma sono stati riconosciuti soltanto in una manciata”.
Si tratta di una pratica comune. Così comune da essere un segreto di Pulcinella: qualcosa che tutti quelli che lavorano nel settore sanno, ma contro cui, singolarmente o come piccoli gruppi, non si può fare granché.
Uno dei primi effetti del mancato riconoscimento del lavoro dei traduttori è che rende molto complesso poter garantire a un nuovo cliente, magari un’altra agenzia, di aver effettivamente lavorato a tale gioco. A conti fatti, si tratta di un “lavoro fantasma”: viene eseguito, viene retribuito (non sempre in modo adeguato), ma non può essere raccontato pubblicamente.
In mancanza di un proseguimento di carriera, uscire dal giro delle agenzie che non riconoscono il lavoro ma ricevono molti incarichi (e quindi diventano centrali per continuare a lavorare come traduttore) diventa impossibile: un circolo vizioso che costringe molte persone che lavorano alla localizzazione a continuare ad alimentare il meccanismo che le blocca.
Uno dei blocchi principali sono gli accordi di non divulgazione che vengono sottoscritti. La firma di un NDA è un passaggio fondamentale per poter lavorare con un’agenzia a cui è stata commissionata la localizzazione di un videogioco che non è ancora uscito: durante la localizzazione, i traduttori ricevono parti del gioco, come dialoghi e nomi dei personaggi, che non devono trapelare; perciò, le aziende devono assicurarsi che i traduttori firmino degli accordi di riservatezza.
Il vero problema è un altro: ai traduttori viene chiesto di non parlare apertamente di aver lavorato al gioco anche dopo che questo è stato pubblicato.
Per circumnavigare l’impossibilità di parlare specificamente di un videogioco, anche quando è uscito da anni, i traduttori possono però fornire descrizioni generiche, ma abbastanza comprensibili, per poter condividere sui propri profili social professionali o ad altri clienti garanzie sulla propria esperienza di lavoro.
“Di solito si fa così: si cerca di dare una descrizione anonima ma precisa di un titolo, così che il cliente capisca, perché lavora nell’ambito ed è aggiornato sulle uscite, magari anche mettendo l’anno di uscita del gioco”, ha riferito una delle persone che ho intervistato.
Altrimenti, si può chiedere una referenza; ma come per altre dinamiche nel settore, dipende dall’agenzia. “Possono mandare una lettera di referenze in cui attestano che io ho lavorato per loro, con il numero di parole tradotte e una lista anonimizzata dei giochi a cui ho lavorato”.
“Poiché il mio nome non è nei titoli di coda e gli sviluppatori del gioco non sanno che sono coinvolto, fornire la prova che ci ho lavorato significherebbe fornire un file di lavoro interno o qualcosa di simile a cui solo il team di localizzazione ha avuto accesso, il che sarebbe considerato una violazione della confidenzialità”, ha detto Eybert-Guillon.
“Se non sei nei riconoscimenti è considerato abbastanza sconveniente citare titoli”, ha detto un’altra persona. “Nel migliore dei casi passi per uno che ignora gli NDA, nel peggiore per cazzaro”.
In molti casi, le persone che lavorano a una traduzione, inoltre, non sanno prima se saranno citate o no. L’inclusione del nome dei traduttori nei riconoscimenti, infatti, non dipende sempre dall’agenzia, ma anche dal cliente; più è lunga la catena e più possibilità ci sono che la politica di una delle aziende coinvolte non preveda il riconoscimento dei traduttori. A volte è l’editore del gioco a non prevedere che ci siano i nomi dei traduttori nei riconoscimenti; a volte è lo sviluppatore e a volte, come spesso accade, è l’agenzia che si è occupata della traduzione. E chiedere chi ha preso la decisione non porta da nessuna parte. “In generale, quando mi è stato detto di no non mi hanno spiegato perché o chi avesse scelto”, ha riferito una delle persone. “È capitato che lo chiedessi e non c’è stato modo”.
“Mi è capitato di chiederlo e di sentirmi dire che fosse una politica dell’agenzia”, ha detto un’altra persona. “Si parla sempre dell’NDA firmato, senza possibilità di flessibilità perché magari un nuovo sviluppatore, che lo chiede espressamente, lo vuole, ma l’agenzia non concede questo diritto e quindi niente.”
“Ci sono casi in cui l’agenzia vorrebbe, ma lo sviluppatore non vuole. E lì non c’è proprio nulla nei riconoscimenti”, mi ha detto una delle persone. “E poi ci sono i casi in cui lo sviluppatore vuole, ma l’agenzia non vuole. E lì c’è solo il nome dell’agenzia nei riconoscimenti”.
Le condizioni di lavoro – come le scadenze – vengono spesso imposte indirettamente dai clienti, che hanno una minore visibilità su come venga svolta la localizzazione. “Alcuni clienti vogliono soltanto inviare il testo e averlo pronto immediatamente senza dover pagare troppo e poiché questi sono clienti importanti, l’agenzia accetta”, ha spiegato una delle persone.
Le condizioni stringenti del cliente vengono quindi spinte fino ai livelli più bassi con conseguenze dirette sul lavoro di chi traduce: “Finiamo con scadenze sempre più stringenti, retribuzioni in calo, nessun contesto e i PM che si aspettano che lavoriamo nei fine settimana”.
Molte localizzazioni hanno bisogno di un lavoro aggiuntivo per comprendere meglio, per esempio, la mitologia sottostante una storia oppure avere più comprensione della cultura di un Paese. Si tratta di studiare e approfondire; ma tale parte del lavoro non viene retribuita, sebbene contribuisca a creare una localizzazione più fedele.
“L’ultimo gioco a cui ho lavorato era un gioco di ruolo giapponese molto famoso” ha raccontato una delle persone. “Un lavoro molto bello, lungo e anche impegnativo perché è un gioco che richiede una serie di lavori di adattamento e non solo di traduzione. Il lavoro del traduttore non è solo prendere e tradurre: spesso ti arrivano lavori per cui servono degli approfondimenti tuoi, che non vengono conteggiati per il pagamento”.
Ascoltando le varie testimonianze è emerso di frequente il nome di un’azienda: Keywords.
Chi è Keywords
Keywords è probabilmente la più grande azienda al mondo che si occupa di localizzare i videogiochi. Ha lavorato su giochi popolari come Clash Royale, League of Legends, Assassin’s Creed Syndicate, Deus Ex Mankind Divided e Final Fantasy XV.
Negli anni ha allargato la propria presenza internazionale fagocitando tante altre aziende operanti nel settore delle localizzazioni. Dal 2014 al 2017 ha comprato: Binari Sonori, Reverb, Kite Team, Sonox Audio Solutions, Around the Word, Synthesis Group, Babel Media, Enzyme Testing Labs e VMC. Dal 2013 al 2021 il suo fatturato è cresciuto da 16 milioni a 512 milioni di dollari ed è passata da 371 a oltre 9.000 dipendenti.
Di recente ha acquisito Forgotten Empires, sviluppatore di Age of Empires, e Mighty Games per espandere ancora di più il numero di aziende interne che sviluppano videogiochi. Keywords possiede, fra gli altri, Tantalus Media, High Voltage Software, Climax Studios e Heavy Iron Studios.
I suoi clienti includono praticamente tutte le più grandi aziende di videogiochi al mondo: Microsoft, Konami, SEGA, Nintendo, Take-Two, Tencent, Bandai Namco, Supercell, Electronic Arts, Ubisoft, NetEase, Warner Bros., Square-Enix.
In altre parole: è quasi impossibile lavorare nel settore senza imbattersi in Keywords almeno una volta.
Allo stesso tempo, pur essendo una realtà con grande visibilità, Keywords è anche una delle principali aziende del settore che non cita praticamente mai chi ha lavorato alla localizzazione nei riconoscimenti finali.
Il perché è presto detto: per Keywords è più conveniente far passare l’idea che sia la sua linea di servizi – di cui la localizzazione è solo una parte – a essere il segreto della riuscita di un buon progetto e non le persone che hanno collaborato. Per Keywords è più importante che al posto del nome dei traduttori ci sia il proprio marchio.
“La gente che ha a che fare con Keywords sa che non ha potere contrattuale perché sono monopolisti”, ha detto una delle persone, che ha lavorato su molti giochi per tramite di Keywords. “Chi sta cercando di entrare adesso si trova per forza a sbattere contro Keywords. In Keywords vai a sbattere e rimani nell’anonimato, non trovi lavoro in altre agenzie e Keywords continuerà a sottopagarti”.
Un ulteriore livello di complessità è rappresentato dal fatto che non tutte le aziende del gruppo Keywords hanno la stessa politica. Perciò, può capitare di venire citati in un progetto della filiale di Keywords di un Paese, ma non in quello di un’altra.
“Keywords è un’idra” ha riassunto una delle persone. “Quando parli di Keywords parli di un’accozzaglia di studi diversi con politiche diverse”.
Ciò può anche accadere perché è stato il cliente a chiederlo; ma anche in questo caso, la scarsa trasparenza impedisce ai traduttori di comprendere le dinamiche sottostanti ogni progetto a cui partecipano.
Ho contattato Keywords, comprese le aziende italiane che fanno parte del gruppo, via email e al telefono per chiedere un commento sulla questione. Non ho mai ricevuto risposta.
Una delle persone con cui ho parlato ha raccontato di essersi trovata bene a lavorare con uno dei gruppi di Keywords. “Con il team si vengono a creare legami che portano a lavorazioni migliori, il lavoro è coordinato, si fa brainstorming di gruppo per affrontare le situazioni più complesse. Da quel punto di vista sono molto soddisfatto”, ha detto, pur sottolineando che il mancato riconoscimento rappresenta il principale svantaggio di collaborare con Keywords.
Tale persona ha lavorato quasi unicamente con Keywords dal 2016 a oggi alla localizzazione di 94 giochi. “Nel 90% di questi non sono nei riconoscimenti”, mi ha detto. “Se vado a vedere l’elenco dei giochi in cui sono effettivamente presente nei riconoscimenti, per assurdo sono di più quelli in cui sono finanziatore di Kickstarter che quelli che ho tradotto.”
“Quando lavori per Keywords, hai la sensazione che accettino più o meno qualunque cosa e poi sfruttino al massimo l’ultimo anello della catena, i traduttori, per poterlo a termine”, ha sottolineato un’altra persona.
Ho potuto visionare alcuni degli NDA che negli anni alcune aziende del gruppo Keywords hanno chiesto di sottoscrivere ai loro collaboratori. Viene espressamente definito che spetta a Keywords concedere o meno il permesso ai traduttori di poter parlare in maniera più o meno estesa di un certo gioco, anche dopo che è stato pubblicato e quindi da celare non ci sarebbe più nulla. Il riconoscimento avviene caso per caso e spesso sulla base dell’accordo fra un’azienda del gruppo di Keywords e il cliente finale, processo verso la quale il traduttore non ha alcuna visibilità.
In un altro NDA che ho letto viene scritto che è a totale discrezione dell’agenzia decidere se includere o meno i nomi dei traduttori e che, inoltre, i traduttori non possono vantare alcuna pretesa su questo aspetto.
Gli NDA non sono niente di strano. Io per primo ne ho firmati vari quando mi sono stati dati in anteprima dispositivi elettronici, come smartphone e console da gioco, o anche i codici dei videogiochi.
Tali NDA specificano le condizioni da rispettare (una data prima della quale non se ne può parlare né scrivere, per esempio) ed eventuali sanzioni economiche nel caso in cui non vengano rispettate. Mi è capitato di firmarli anche per le consulenze: l’agenzia di turno voleva assicurarsi che non divulgassi informazioni sensibili di cui sarei venuto a conoscenza durante gli incontri con i clienti.
Niente di strano, come detto.
La differenza sta in come, nel caso della localizzazione, alcune delle condizioni inserite ostacolino la carriera delle persone; anzi, di fatto, siano pensate per rallentarla fortemente o addirittura bloccarla.
Un subdolo esercizio di potere finalizzato a controllare la carriera dei traduttori, soprattutto quelli freelance, che da un curriculum ricco hanno solo da guadagnarci: più giochi tradotti equivalgono a maggiori opportunità di trovare lavoro altrove.
L’accentramento dei riconoscimenti verso l’azienda – o al massimo i responsabili del progetto – permette a tale azienda di presentarsi di fronte ai potenziali clienti come l’asso pigliatutto; come la realtà a cui fare riferimento per un lavoro ben fatto, come se dietro di essa non ci fossero dozzine di persone, spesso freelance, il cui lavoro non viene riconosciuto.
In tal senso, Keywords è l’agenzia che più di tutte ha costruito la propria posizione sulla base di fusioni e acquisizioni, diventando negli anni il punto di riferimento per i servizi di localizzazione, ma senza aver intenzione di riconoscere, nella maggior parte dei casi, il lavoro delle persone.
Un problema strutturale
Considerare la situazione come un problema caratterizzante solo Keywords sarebbe sbagliato. Infatti, si tratta di un insieme di cattive pratiche e pessime abitudini che fa parte del modus operandi di varie agenzie e aziende.
Due aziende chiamate in causa da due persone con cui ho parlato sono MoGi e Transperfect (che ha acquisito MoGi negli anni scorsi). Una di queste ha lavorato per sei giochi durante il suo periodo in MoGi e ha raccontato la difficoltà di contrattare paghe più eque e anche di dinamiche di lavoro difficili da sostenere; fino a che non ha lasciato l’azienda a seguito dell’acquisizione da parte di Transperfect.
“La tariffa era di 0,05 euro a parola, ma ottenuta con le unghie e con i denti”, mi ha raccontato riferendosi al suo periodo in MoGi. “Poi sono passati ai dollari statunitensi e quando ho chiesto di salire a 0,06 dollari per il cambio hanno fatto una scena molto triste di andare a prendere il cambio e ‘dimostrarmi’ che 5 centesimi di euro erano meno di 6 centesimi di dollaro”.
Fra i clienti di MoGi ci sono Bandai Namco, Ubisoft, Annapurna Interactive, Tencent Games, Garena, Capcom, Smilegate e Dotemu.
Una delle caratteristiche del lavoro era l’implicita richiesta di lavorare nei fine settimana con tecniche subdole e indirette. Per esempio, assegnando una determinata quantità di parole da tradurre il venerdì e fissando la consegna per il lunedì mattina; una quantità di parole che non sarebbe stata possibile tradurre durante una sola giornata lavorativa. L’unica soluzione è lavorare anche nel fine settimana per poter rispettare la consegna.
“Da quando sono stati acquisiti da Transperfect è peggiorato tutto molto: scadenze tirate e spesso urgenti; tariffe basse che, se alzate, valgono il lavoro e non contattano più e anche proprio ritmi di lavoro assurdi”, ha aggiunto.
Le dinamiche che prima potevano essere straordinarie – lavorare nel fine settimana, crunch e retribuzioni sotto la media – sono diventate lo standard dopo l’acquisizione.
Una seconda persona ha descritto MoGi e Transperfect come realtà peggiori di Keywords perché “sono molto più focalizzate sui profitti e hanno sempre trattato i traduttori come spazzatura”.
Né MoGi né Transperfect hanno risposto a una mia richiesta di commento.
Esistono però altre agenzie, più piccole, che riconoscono il lavoro dei traduttori e ne rispettano l’incarico. “Forniamo a tutti i nostri clienti una lista delle persone che hanno lavorato al gioco”, ha detto Eybert-Guillon su come funziona From the Void. “Se non siamo nei riconoscimenti, significa che non sono riusciti a implementarli e in tal caso di solito spingiamo e insistiamo affinché lo facciano. La nostra politica prevede che chiunque venga adeguatamente riconosciuto”.
From the Void ha lavorato soprattutto con editori e sviluppatori indipendenti, che hanno generalmente accettato con piacere di includere i nomi dei traduttori nei riconoscimenti. In ogni caso, anche quando ciò non avviene chi ha lavorato alla localizzazione del gioco può parlarne pubblicamente e sponsorizzare il suo coinvolgimento.
Anche Wabbit, cooperativa che ha localizzato vari giochi, ha riscontrato esperienze perlopiù positive, secondo quanto mi ha detto Alice Buratto, traduttrice per Wabbit. “Non credo ci siano state volte in cui abbiamo insistito per farci inserire nei credits. Piuttosto, ci capita di chiedere di figurare come nome del traduttore + Wabbit Translations invece che solo come nome del traduttore; questa richiesta a volte crea qualche problema, probabilmente perché il nome del nostro team rischia di distogliere l’attenzione dal lavoro dell’agenzia, che si è occupata di tutte le lingue”.
Capita spesso, infatti, che un’agenzia più grande possa subappaltare a un’agenzia terza, come può essere Wabbit, una quota delle traduzioni, magari per lingue specifiche per le quali non ha adeguate risorse interne.
In un’occasione, invece, è stata proprio Buratto a chiedere di non essere inserita nei riconoscimenti perché “alcune mie decisioni di revisora non erano state rispettate e non volevo che un lavoro che non rispecchiava del tutto la qualità a cui puntavo avesse il mio nome e quello del mio team”.
In alcuni casi, come anticipato, è la decisione dell’editore o dello sviluppatore quella di non avere i nomi dei traduttori nei riconoscimenti, ma solo quello dei cosiddetti “localization tester” (le persone che, in poche parole, verificano che la localizzazione funzioni a livello tecnico e non ci siano problemi nella visualizzazione dei testi, per esempio). I localization tester in genere sono figure interne allo sviluppatore o all’editore e non esterne.
Fra queste aziende, una delle più in vista è Sony Interactive Entertainment, che nei suoi giochi non cita i nomi dei traduttori. Ho chiesto un commento a Sony Interactive Entertainment Italia, ma non mi ha risposto.
Altre società, come Square-Enix e Bethesda, sembrano invece più di supporto e i nomi dei traduttori vengono spesso inseriti nei riconoscimenti; eppure, a volte i riconoscimenti non avvengono oppure è l’agenzia è infrapporsi.
Il fatto stesso che le politiche di così tante realtà si sovrappongano crea situazioni in cui non si riesce a capire cosa si sia inceppato e di chi sia, in sostanza, la responsabilità della scelta.
Un caso recente è quello di Elden Ring, pubblicato da Bandai Namco, della cui localizzazione italiana e spagnola si è occupata Jinglebell, che ha lavorato direttamente con l’editore. L’amministratore delegato di Jinglebell, Simone Crosignani, su Twitter ha pubblicamente ringraziato tutte le persone che hanno lavorato alla localizzazione citandole una per una; eppure, nei titoli di coda di Elden Ring i nomi non ci sono. Sono riconosciute solo Keywords Francia e Jinglebell.
Su Twitter, lo stesso Crosignani ha specificato, chiamato in causa, che “chiediamo sempre che i traduttori, i doppiatori, gli ingegneri audio, il controllo qualità, ecc vengano riconosciuti perché a) è giusto così e b) non vedo un singolo vantaggio nel nascondere i loro nomi. Nemmeno uno. Né per Jinglebell né per loro”.
In un secondo tweet, dopo essere stato criticato per aver accettato un lavoro per un’azienda che non riconosce i traduttori, Crosignani ha scritto che “si tratta di sopravvivenza più che di far crescere la tua azienda. Scegliere di non lavorare con gli editori che non riconoscono tutti i traduttori nei loro giochi significa escludere…il 95% degli editori che ci sono? Forse di più. Sono d’accordo che ci sia sempre una scelta, ma non molta”.
Ho chiesto due volte a Jinglebell di avere un’intervista con Crosignani, ma non mi ha risposto. Bandai Namco non ha voluto commentare.
“Se non ci proteggiamo da soli, nessuno lo farà”
Il settore delle localizzazioni dei videogiochi è caratterizzato da una scarsissima trasparenza. Sono soprattutto le piccole agenzie a supportare il riconoscimento dei traduttori. Dall’altra parte della barricata, però, non tutti i piccoli studi di sviluppo indipendenti sono consapevoli dell’importanza di riconoscere il lavoro dei traduttori e a volte, anche per semplici motivi di spazio nei titoli di coda, questi non vengono riconosciuti, di fatto limitando la visibilità di quelle persone che hanno lavorato affinché il videogioco potesse essere compreso da un pubblico più ampio.
“C’è un quota di ignoranza lato sviluppatore, che non si rende conto di quanto sia fondamentale la localizzazione”, ha dichiarato una delle persone.
In questi casi spetterebbe all’agenzia insistere o far capire l’importanza di riconoscere il lavoro delle persone; tale opera di convincimento, però, viene saltata a causa di un rapporto di subordinazione con il cliente.
Restano soprattutto le grandi agenzie ad avere il polso del settore. “Basta la pressione economica: siamo freelance, per metterci alla porta basta smettere di mandarci lavoro”, ha detto una delle persone. “Non c’è nemmeno bisogno di dare una spiegazione; quindi l’ultima cosa che vogliamo è scontentarli. Perciò fai il progetto e aspetti che il gioco esca. E se lo sviluppatore se n’è fregato, non ci sei. E se è l’agenzia che non ha voluto, ci sono loro e tu no”.
“Finora mi sono trovato bene in Keywords e avendo tanto lavoro non sono andato a cercare altre realtà”, ha spiegato una delle persone. “Avendo una regolarità importante, non ho nemmeno avuto il tempo di cercarmi altri clienti. Però se dovessi andare a bussare da un’altra parte, non potendo dimostrare i giochi a cui ho lavorato, sarebbe la mia parola contro quella dell’azienda”.
Una delle possibili soluzioni è quella di vedere sempre più agenzie guidate da ex-traduttori, che potrebbero, consci delle condizioni in cui hanno lavorato in precedenza, stabilire un ambiente più equo e insistere affinché il lavoro sia riconosciuto; ma tali agenzie resterebbero comunque fuori dai giochi più grandi, che richiedono una mole di lavoro che non è alla portata di un gruppo di persone ristretto.
“Penso che un’altra cosa che rema contro di noi – ha evidenziato una delle persone – è che mi sembra che i traduttori siano in genere persone timide o che non vogliono fare troppo casino. Ma se non ci proteggiamo da soli, nessuno lo farà”.