I tempi sono cambiati. Se fino al 2018 il tentativo di una scalata ostile di Vivendi (ossia l’acquisizione graduale delle azioni di una società quotata in borsa con l’obiettivo di possederne la maggioranza) è stato osteggiato da Ubisoft, oggi l’eventualità che Ubisoft rinunci a delle offerte e continui a essere indipendente sembra meno solida. O almeno, è il messaggio che, nemmeno velatamente, l’amministratore delegato di Ubisoft, Yves Guillemot, ha lanciato durante il più recente resoconto trimestrale.
Dopo le acquisizioni di Take-Two, Microsoft e Sony, parlare di potenziali acquisizioni è normale. La domanda è stata rivolta anche a Nintendo (che ufficialmente ha negato l’interesse a comprare altre aziende) e a Ubisoft, appunto.
“Mi chiedo perché non abbiate ancora ricevuto un’offerta considerato il valore delle vostre proprietà intellettuali” ha chiesto Matthew Walker di Credit Suisse. Oggi Ubisoft vale 5 miliardi di dollari. Sony ha comprato Bungie per 3,6 miliardi.
Lo scambio fra Guillemot e il direttore finanziario, Frederick Duguet, ha lasciato intendere che sebbene “abbiamo la scala necessaria a restare indipendenti” la porta sia aperta.
Dal 2018 a oggi i tempi sono cambiati: ogni editore sta cercando di essere una piattaforma, ossia di avere il maggior numero possibile di giochi su PC, console e mobile. Per farlo servono risorse tecnologiche e umane che è sempre più difficile ottenere perché sono le stesse che cercano le grandi multinazionali tecnologiche che valgono centinaia di miliardi di dollari e hanno una potenza economica con cui è quasi impossibile confrontarsi.
Il mercato sta proseguendo verso manovre di consolidamento necessarie a sostenere gli investimenti miliardari che servono per creare il flusso di contenuto che permetta a ogni editore (e quindi a ogni piattaforma) di trattenere le persone che giocano.