Che cos’è successo a Unity

Stai leggendo Insert Coin: una newsletter con cui racconto i videogiochi, il loro mercato e gli sviluppatori.
Ogni domenica invio una nuova puntata.

Se vendi un prodotto, la regola d’oro prevede che non devi far incavolare la tua clientela più affezionata, quella che ti segue da più tempo e quella che ti ha portato dove sei. Eppure, Unity, proprietaria dell’omonimo motore grafico, sembra essere diventata molto brava nel fare proprio questo: irritare gli sviluppatori. E se c’è una cosa che irrita gli sviluppatori, sono i costi imprevisti. Ancora di più i costi imprevisti imposti da un partner.

Nei giorni scorsi Unity ha annunciato una nuova politica: a partire dal 1° gennaio 2024, tutti i giochi di Unity, anche quelli già sul mercato, che hanno superato una certa soglia di installazioni e di ricavi (lordi, quindi che includono le commissioni da pagare, per esempio, alle piattaforme) dovranno pagare una quota per ogni installazione aggiuntiva. Entrambe le condizioni devono essere superate contemporaneamente, sebbene i ricavi fanno riferimento ai precedenti dodici mesi, mentre le installazioni all’intero ciclo vitale del gioco, cioè dal lancio.

La tariffa varia in base al piano di Unity a cui lo sviluppatore è iscritto ed è stata introdotta per supportare il sostentamento di Unity Runtime, che viene installato sul dispositivo dell’utente finale ogni qualvolta viene scaricato un videogioco creato con Unity. Nel più recente resoconto finanziario la società ha spiegato che “è il runtime di Unity che rende i contenuti 3D interattivi in tempo reale su ogni dispositivo, oltre che reattivi all’input dell’utente, alla simulazione della fisica, all’illuminazione e altro ancora”.

Nel primo trimestre dell’anno fiscale 2023, Unity ha generato 187 milioni di dollari con la divisione Create Solutions (il motore grafico, insomma), mentre 313 milioni di dollari da quella Grow Solutions (pubblicità, insomma). Tieni a mente questa informazione.

In base al piano, lo sviluppatore deve pagare da 1 a 20 centesimi a nuova installazione. I piani più costosi, cioè Pro ed Enterprise, vengono avvantaggiati rispetto al piano Personal, destinato ai piccoli studi o ai singoli sviluppatori.

L’idea di Unity è questa: se arrivi al punto in cui il tuo videogioco ha avuto un successo inatteso, allora puoi ridurre la spesa per le nuove installazioni abbonandoti a un piano più costoso – che però può costare migliaia di dollari al mese perché è proporzionato al numero di utenti in azienda che lo usano.

In altre parole, Unity sta incatenando gli sviluppatori a un sistema che prevede che comunque vada pagheranno di più, anche per quei videogiochi che sono sul mercato da anni oppure che saranno pubblicati nei prossimi mesi; produzioni per cui, quindi, il budget è già stato previsto ed è complicato rivedere il modello e per cui è troppo tardi passare a un altro motore grafico.

A meno che non si integrino ulteriori servizi di Unity, come LevelPlay, che viene descritto sul sito ufficiale come una soluzione per “gestire e ottimizzare tutta la monetizzazione dalle pubblicità e far crescere il tuo business”. In pratica, serve a guadagnare di più dalle pubblicità interne all’applicazione, che su mobile sono la normalità per tanti videogiochi gratuiti. LevelPlay è già usato da società come Supercell e SEGA.

Il punto, come ha fatto notare Simon Carless di GameDiscoverCo nella sua newsletter, è che LevelPlay non si può usare su console e PC; quindi, gli sviluppatori console e PC finiscono per supportare questa iniziativa senza nemmeno avere la possibilità di pensare a un piano di riserva decente.

Dopo l’annuncio iniziale, Unity ha fatto alcune precisazioni:

  • non saranno considerate le installazioni successive alla prima. Se l’utente disinstalla e poi installa di nuovo un videogioco, non viene considerata come installazione aggiuntiva e quindi da pagare;
  • non saranno considerate le installazioni derivanti dall’inclusione del videogioco nei bundle destinati alla beneficenza;
  • per i videogiochi inclusi in abbonamenti come Game Pass non sarà lo sviluppatore a dover pagare, ma il distributore (Microsoft, in questo caso);
  • non verranno conteggiate le copie piratate.

Saranno comunque considerate le installazioni su più dispositivi, per esempio su un PC e su una Steam Deck, anche da parte dello stesso utente.

Qua subentra, però, un altro problema: cioè il modo in cui Unity riesce a distinguere l’installazione di una copia piratata da una legittima; una copia destinata al bundle di beneficenza da una acquistata a prezzo pieno.

Su questo punto Unity ha precisato, rispondendo a una domanda su X, che “sfruttiamo il nostro modello proprietario di dati, così puoi immaginare che non entriamo nei dettagli, ma crediamo che dia una stima accurata del numero di volte che il runtime viene distribuito per un dato progetto”. Il fatto che si parli di una stima è già un problema: se devo pagare qualcosa, ci devono essere dei dati certi, non approssimazioni; specialmente quando il quadro è così frammentato e, soprattutto, rischioso.

Perché con la nuova politica uno sviluppatore rischia di fare un accordo con una piattaforma, magari per includere il suo videogioco in un bundle, e poi ottenere più installazioni del previsto; e potenzialmente pagare a Unity per le installazioni più di quanto abbia guadagnato da tale accordo.

Alla base della nuova politica ci sono due grossi problemi:

  1. la nuova tariffa è slegata da eventuali guadagni dello sviluppatore. Specialmente per i videogiochi mobile gratuiti, non è detto che chi installa paghi qualcosa. In altre parole, la popolarità rischia di essere solo un costo;
  2. viene attuata sui progetti dove non era prevista questa spesa. Unity ha deciso di modificare unilateralmente il contratto sottoscritto, magari anni fa, senza offrire una seconda scelta alle aziende, piccole o grandi che siano.

Bisogna considerare che i costi della “Runtime Fee” si aggiungono a quelli della piattaforma, che trattiene il 30%, oltre a qualunque quota trattenga l’editore che ha pubblicato il videogioco. Significa ridurre ancora di più quanto resta in mano allo sviluppatore finale, che già magari riesce a tenere il 20-30% del prezzo del videogioco.

La reazione degli sviluppatori

Unity è un motore grafico usato tantissimo. Quando dico tantissimo, intendo che è il più usato su mobile e che anche tanti giochi su console e PC lo usano, come Among Us, Rust, Cuphead, Genshin Impact, Hollow Knight, Immortality, Citizen Sleeper, Cult of the Lamb, Exo One e Ori and the Will of the Wisps.

Nel 2018 Unity ha detto che metà dei videogiochi sul mercato vengono realizzati con il suo motore grafico. Su Steam ci sono quasi 38.000 giochi realizzati in Unity e poco più di 10.000 con Unreal Engine.

Oltre all’Unreal Engine ci sono altre alternative a Unity: soprattutto Godot Engine (usato da Cassette Beasts, per esempio), che è completamente gratuito, e Game Maker (Chicory, Undertale, Katana Zero). Ma scegliere di passare a un altro motore grafico, che è la struttura stessa di un videogioco, significa cambiare strumenti di lavoro, quindi imparare a fare in un altro modo le cose che negli anni sono diventate molto familiari e persino quotidiane.

Anche per questo gli sviluppatori hanno reagito respingendo fortemente la nuova politica di Unity.

Innersloth, creatore di Among Us, ha sottolineato che “non danneggerà solo noi, ma gli studi di sviluppo di qualunque budget e dimensione”.

Massive Monsters, sviluppatore di Cult of the Lamb, ha spiegato di star lavorando a vari progetti basati su Unity e che ora ci saranno “significativi ritardi” perché le persone dovranno imparare a usare un altro motore grafico.

“Gli studi non possono pianificare un budget quando i servizi hanno prezzi sconosciuti o volatili”, ha commentato Holden Link, co-fondatore di Turbo Button, creatore di videogiochi per la realtà virtuale come Floor Plan. “È una grossa violazione della fiducia da parte di Unity e anche se dovessero cambiare idea su questa politica e restare più economici di Unreal, varrebbe la pena pagare di più per Unreal in futuro anche solo per la stabilità e la serenità”. Link ha aggiunto che “anche se ci proveranno, molti sviluppatori non potranno o non riusciranno a sopravvivere a questa transizione”.

Tim Soret, che sta sviluppando The Last Knight, l’ha definita “la decisione di business meno pratica e più sconclusionata che abbia mai visto”.

Secondo Rami Ismail, co-fondatore di Vlambeer (Ridicolous Fishing, Nuclear Throne) e figura di spicco nel mondo dello sviluppo, “qualunque sistema che viene imposto agli sviluppatori e che rende possibile essere danneggiati finanziariamente dal proprio successo non dovrebbe essere tollerato da nessuna azienda intenzionata a costruire un futuro sostenibile”.

Inoltre, un nutrito gruppo di studi di sviluppo ha deciso di bloccare l’utilizzo degli strumenti pubblicitari di Unity in segno di protesta. “Invitiamo altri che condividono la nostra posizione a fare lo stesso”, si legge nella lettera aperta. “Le regole sono cambiate e la posta in gioco è semplicemente troppo alta”.

Anni difficili

Da tempo il rapporto fra Unity e gli sviluppatori si sta incrinando. La gestione dell’amministratore delegato John Riccitiello, che aveva precedentemente ricoperto lo stesso ruolo in Electronic Arts, è stata spesso caratterizzata da momenti di forte frizione con gli sviluppatori. Per esempio, quando ha definito dei “fottuti idioti” gli sviluppatori che non monetizzano a dovere i loro videogiochi.

Mentre in passato Riccitiello, parlando di microtransazioni quando era in Electronic Arts, ha sostenuto l’idea di far pagare per ricaricare le munizioni in Battlefield, visto che quando le persone sono così coinvolte da un videogioco, anche dopo solo poche ore, sono “meno sensibili al prezzo”.

In generale, Unity sta puntando di più sulle pubblicità e sta cambiando il suo modello di business per ricavare di più dalle sottoscrizioni: da qui l’idea che la Runtime Fee costi di meno per chi è iscritto ai piani Pro ed Enterprise, più costosi. Ma c’è anche la questione di cambiare, zitta zitta, i termini di servizio sul portale GitHub così da poter essere meno trasparente: nonostante in passato, dopo altre polemiche ancora, avesse promesso di fare esattamente il contrario per sistemare il rapporto con la comunità degli sviluppatori.

“La struttura di prezzo retroattiva delle Runtime Fee non è solo dannosa per gli sviluppatori, soprattutto gli indie, in una miriade di modi – è anche una violazione della fiducia”, ha riassunto in una breve nota Mega Crit, creatore di Slay the Spire. “Crediamo che Unity lo sappia bene, visto che si sono spinti fino a rimuovere i loro TOS (termini di servizio, ndr) da GitHub”.

Mega Crit ha anche aggiunto che passerà a un altro motore grafico “a meno che i cambiamenti non siano completamente cancellati e le protezioni dei TOS rimesse al loro posto”. Per il momento, Unity non sembra intenzionata a fare marcia indietro.

A prescindere da come andrà – eventuali retromarce o modifiche – ciò che è successo rappresenta un problema: Unity ha dimostrato di essere disposta, per il suo tornaconto, a rovinare la relazione con gli sviluppatori e di cambiare le regole del gioco a partita in corso. E così facendo, per di più, mettere in seria difficoltà molte persone e molti studi e minare l’esistenza stessa di tanti videogiochi.

Una deriva assurda di un modo di fare dove le persone e gli studi di sviluppo non sono dei clienti o dei soggetti con cui continuare a fare affari in modo dignitoso e rispettoso; bensì beni da cui estrarre il maggior profitto possibile, senza un confronto aperto, senza la capacità di comprendere – nonostante Unity ne abbia l’esperienza – le dinamiche dello sviluppo. Arrivando a rappresentare un ostacolo per il successo stesso dei videogiochi anziché un acceleratore.